Premessa ermeneutica: l’estensore di queste righe è un nazista della raccolta differenziata, non usa l’ascensore, uscendo dalle stanze spegne le luci con modalità ossessivo-compulsiva, guida un’automobile acquistata quando ancora in Italia circolavano le lire; insomma potrebbe essere il sogno bagnato di ogni Greta e Gretino, invece…

 

Ier sera – a riprova del fatto che gli amici di una vita sono la peggiore minaccia per chiunque voglia fare qualcosa di serio – mentre il caro Fabrizio De Pasquale cercava di spiegare per quale motivo si fosse candidato a queste elezioni per il consiglio regionale della Lombardia – il sottoscritto e altri due sciagurati facevano discorsi da anziani su quanto “ai nostri tempi” l’aria di Milano fosse inquinata e il Duomo fosse di un bel color carbone.

Di là dalla malinconia di questi discorsi, c’è un inquietante dato di fatto.

Col passaggio dal “gas di città” al metano in tutte le case della metropoli lombarda, all’incirca a far data dalla metà degli anni ‘80, e con l’avvio della catalizzazione degli scarichi dei veicoli a motore termico, cioè dal gennaio 1993, è partito un processo oramai ultratrentennale di cui l’aria questa città ha sicuramente beneficiato.

La deliziosa e romantica nebbia da inquinamento che ovattava le mie mattine di studente delle scuole elementari mentre percorreva a piedi corso Buenos Aires è scomparsa oramai da decenni.  In quegli stessi decenni, il polverino carbonioso che allegramente riempiva i nostri alveoli uscendo dai comignoli dei palazzi meneghini è stato sostituito dai ben più leggeri gas frutto della combustione del metano, e persino i motori diesel oramai, tra evoluzione tecnologica, migliore raffinazione del combustibile e additivi all’urea, rilasciano come scarico qualcosa che è molto lontano dai rivoltanti fumi delle Opel che il mio babbo insisteva a guidare negli anni ‘80 del secolo scorso. Eppure, a ogni rafforzamento della normativa antinquinamento sembra che la morte per avvelenamento di noi tutti sia cosa con scadenza più vicina di quella del latte fresco.

C’è qualcosa di palesemente controintuitivo in tutto questo: ogni giorno miglioriamo la nostra tecnologia, ogni giorno il nostro uso dell’energia produce minore inquinamento rispetto al giorno precedente eppure ogni giorno i tristi lai di disgrazia sono più alti e più urgenti.

Non stiamo parlando in questo caso di tutto il complesso e diverso discorso sul cambiamento climatico, stiamo parlando “solo” di inquinamento dell’aria; della pretesa che un agglomerato di alcune decine di milioni di persone quale è la pianura padana (o più limitatamente i tre milioni con lo sguardo rivolto alla madonnina) registri una qualità dell’aria più o meno simile a quella intorno al maso di Heidi sulle Alpi svizzere.

 

Si tratta di una pretesa che non sta né in cielo né in terra, e ciò non perché si debba accettare di pagare un prezzo per il privilegio di godere dei servizi di una città, ma perché si pretende che la presenza umana e le sue attività risultino senza conseguenze.

Si tratta di una pretesa ipocrita e cinica perché presuppone in molti casi semplicemente lo spostamento dei risultati negativi di tale attività umane lontano dagli occhi troppo sensibili dei ricchi europei, e milanesi nel caso di specie.

E si tratta anche di una pretesa dalle palesi venature fasciocomuniste, perché questo mito dell’immacolatezza pre/post tecnologica che deve trionfare attorno alle attività dell’uomo è nulla più che una nevrosi parareligiosa a cui si associa la pretesa di un gruppo di “illuminati” di decidere cosa il volgo debba fare della propria vita: l’élite detta le regole, stabilisce con proprie leggi cosa tutti debbano fare e ciò a prescindere dalla possibilità di farlo; le leggi indicano deliberatamente traguardi che la tecnologia non ha raggiunto e forse non può raggiungere in maniera sostenibile derivandone l’impedimento per vasti gruppi di sudditi all’utilizzo di beni e servizi (se non hai soldi non ti compri la Tesla, ma neppure la Kia elettrica) e tutto ciò in nome di un’ossessione che nulla c’entra con l’obiettivo del miglioramento della qualità di vita.

Così, siccome dobbiamo ridurre il traffico e l’inquinamento, tutti dobbiamo usare i mezzi pubblici oppure le automobili elettriche, con il risultato che il proletario (ah, che parola desueta) che abita nei comuni della seconda fascia urbana intorno a Milano e lavora nella grande Milano o si sobbarca ore di trasporti con i mezzi pubblici oppure mangia pane e cipolle fintanto che non riuscirà a pagare il mutuo di un’automobile solo temporaneamente rispondente alle pretese del sovrano… inutile dire che per usare quell’automobile sarà schiacciato da ogni sorta di costo e imposta aggiuntiva per questo consumo così scriteriato e antisociale.

Insomma, l’ideologia green come variante fighetta del totalitarismo.