Al di là del risolino che, come contribuenti tartassati, potremmo avere tutti, questa storia potrebbe essere l’inizio di un terremoto epocale.
Se lo scambio dati-servizi diventa oggetto di imposizione, dove inizia e dove finisce la pretesa fiscale? Perché #META è aggredibile e #Google no? Perché non aggredire i provider di #postaelettronica gratuita? pure loro convertono i nostri dati in entrate pubblicitarie. E perché non aggredire chiunque eroga servizi gratuiti in cambio della pubblicità? Lo spazio per l’allargamento della base impositiva è enorme.
Poi, c’è un altro piccolissimo particolare: la privacy. Se ognuno di noi è un commerciante dei propri dati personali e li monetizza liberamente sul mercato in cambio di servizi, siamo davvero sicuri che il livello attuale di pretese sul trattamento dei dati abbia titolo per essere mantenuto? Dall’altro lato ci sarebbe qualcuno che i dati li ha pagati per davvero, almeno come imposta sul valore aggiunto, e che avrebbe qualche titolo per poterli voler usare senza revoche del consenso, opposizioni al trattamento, pervasivi poteri dei garanti della #privacy e tediosi discorsi di noi prefiche del #gdpr.
Non sono sicuro che far pagare l’IVA sui dati personali sia veramente un affare. Sicuramente una tentazione per Stati alla canna del gas che hanno bisogni di soldi freschi come un tossicodipendente delle sostanze da cui dipende. Potenzialmente un disastro per l’economia fondata sulla società dell’informazione e anche per una gestione non frammentaria della protezione delle persone rispetto al trattamento dei dati.