Il “Giornale” è impegnato a sostenere l’improponibilità dell’assegno di disoccupazione e, per farlo, oltre a riprendere le legittime e fondate posizioni del Presidente del Consiglio attacca direttamente i disoccupati, con un articolo dal titolo “No grazie, il lavoro è troppo lontano“, che sostiene come una parte della responsabilità della disoccupazione sia degli stessi disoccupati, i quali “non si adattano”, “non si spostano”, insomma non hanno voglia di sacrificarsi e di scommettere sul proprio futuro.

Mi viene in mente la generazione che mi ha preceduto che, con la valigia di cartone, tanta fame e qualche speranza, abbandonò i propri paesini per cercare pane e futuro al nord: di quella generazione io sono discendente e pertanto tengo in massima considerazione il suo esempio.

Eppure, il discorso che si fa oggi non mi convince del tutto, e non mi convince alla luce del mio punto di vista particolare, quello del datore di lavoro.

In azienda arrivano curriculum da tutta Italia, e il primo screening che faccio, almeno io, è quello geografico.

Il leghismo non c’entra nulla, non avendo io una sola goccia di sangue padano in corpo, anche se, come diceva Montanelli, milanesi si diventa: il fatto è che gli stipendi sono uguali in tutta Italia ma i costi per vivere no, e allora offrire a un giovane la possibilità di venire a lavorare in un’azienda milanese significa dirgli che butterà i due terzi del suo stipendio solo per trovare un letto.

Quando offri a qualcuno mille euro al mese, hai voglia a pensare che sono due milioni delle vecchie lire. Vivere a Milano costa anche seicento euro solo di affitto. Certo, se vuoi puoi risparmiare, andando a vivere a quasi un’ora dalla città, e allora ne spendi quattrocento. A questo punto però quello che hai risparmiato di affitto si trasforma in altre voci di spesa come gli abbonamenti ai mezzi di trasporto extraurbani e le frequenti cene fuori casa. E tutto questo per risparmiare duecento euro.

Con quello che ti resta devi vivere: vestirti, mangiare, sostenere i consumi di base… solo se hai una grande tenacia, poche attese di qualità della vita e magari l’aiuto dei genitori puoi “investire” così.

Io li vedo i miei Collaboratori in queste condizioni, e mi chiedo cosa pensino, cosa sperino, e non sono sicuro che siano poi così felici di avere trovato un lavoro.

Certo, vedo anche ragazze e ragazzi la cui etica del lavoro è inesistente, che non hanno alcuna idea di cosa significhi la parola sacrificio o anche solo investimento nel futuro, per i quali lo stipendio è solo un mezzo per cambiare telefonino, ma vedo anche tanti bravi ragazzi, che hanno studiato e fatto – specialmente al sud – una marea di corsi di specializzazione, e ai quali poi, dovendo far quadrare i bilanci pure noi, ci troviamo a offrire un’assunzione più che regolare ma nei limiti dei CCNL, e con quei soldi troppo spesso è meglio non muoversi da casa, è triste, ma è così.

Magari qualcuno lo trovi che è disposto a farlo, ma si tratterà di Collaboratori che, anche con le migliori intenzioni, penseranno tutti i giorni al fatto che stanno lavorando per un tozzo di pane.

Alla base ci sono troppe perversioni, tanto per iniziare un sistema delle abitazioni che premia l’acquisto e scoraggia gli affitti facendo impazzire i prezzi dei pochi appartamenti disponibili, l’idea che sia sostenibile un sistema-Paese in cui una metà geografica produca e l’altra metà consumi e fornisca manodopera, l’idea che i contratti siano tutti uguali a nord come a sud.

L’idea del sussidio di disoccupazione non mi convince affatto, per come si trasformerebbe in un carrozzone inutile capace solo di impoverire ulteriormente la nostra economia, e questo è un problema enorme, forse senza risposte, che va ben oltre la disoccupazione, perché riguarda appunto anche gli occupati, il problema di un’economia che spesso sembra produrre lavoro senza ricchezza; comunque sia, però che non si possa continuare a rispondere con i luoghi comuni mi pare scontato.

 

il Gabibbo: Se alla disoccupazione si risponde coi luoghi comuni.