L’ho già scritto tante volte, non mi stancherò di riscriverlo.

È il solo Paese da quelle parti dove io e molti miei amici non correremmo il rischio di finire impiccati a una gru o con un copertone incendiato intorno al collo.

È il solo Paese da quelle parti dove la buonanima di mia mamma (dalla fede saldissima, ma «I preti comandino a casa loro») non avrebbe corso il rischio di essere frustata.

È il solo Paese da quelle parti dove mia sorella e le mie amiche non rischierebbero di essere lapidate.

È quel Paese dove l’esperimento sostanzialmente e necessariamente socialista delle origini si è trasformato in una liberal democrazia.

È quel Paese dove i fedeli della religione di cui tutti siamo figli possono vivere liberamente le loro speranze.

È quel Paese dove il deserto è stato trasformato in un giardino.

Oggi, ancora una volta, affronta una prova tremenda.

Le immagini che arrivano da lì, le poche che ho avuto il coraggio di guardare, evocano l’orrore di anni lontani in Europa.

Noi Europei, noi Occidentali, siamo così assuefatti, così spaventati dall’idea di sacrificare le nostre comodità (come aveva ragione Mario Draghi quando ci sfidava con la domanda «Preferiamo la pace o il condizionatore d’aria acceso?») da non capire, da cercare sempre un accomodamento, una via non troppo indegna di arrendersi.

I nostri fratelli in Israele non possono arrendersi: la loro alternativa è tra la vittoria e lo sterminio, lo abbiamo visto di nuovo in queste ore.

Nell’impotenza di uno spettatore, posso soltanto pregare perché Israele prevalga ancora una volta, perché vincendo ci difenda ancora una volta tutti quanti dalla barbarie.