Leggo con un senso di annoiato fastidio dell’ennesimo dibattito seguito alla decisione “storica” di un comune di ritirare finalmente la cittadinanza onoraria a Benito Mussolini (sembra che ci siano una marea di cittadinanze onorarie date a Mussolini, per cui non è finita qui).
Il fastidio non nasce tanto dal revanscismo di chi contesta questa decisione, né dal revanscismo di chi esulta come se avesse ricevuto una medaglia d’oro al valor militare della Resistenza. Il vero problema è che, ottant’anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, esistano ancora registri di stato civile in cui figure del fascismo figurano come cittadini onorari.
L’11 giugno 1946, il giorno successivo alla proclamazione ufficiale dei risultati del referendum costituzionale, il Capo provvisorio dello Stato avrebbe dovuto firmare una legge per cancellare tutte queste attribuzioni di cittadinanza onoraria, ogni titolo onorifico, vietare in modo inequivocabile ogni commercio di beni che promuovessero il passato regime, nonché ogni saluto fascista. In un Paese serio, ciò sarebbe stato fatto il giorno dopo la nascita della Repubblica.
Invece, l’illusione di chi era arrivato al potere dopo aver combattuto con le armi, che fosse possibile una “pacificazione” e il lassismo diffuso –un carattere della nostra cultura nazionale – hanno permesso che per ottant’anni tutto questo rimanesse impunito. Ancora oggi dobbiamo sopportare saluti romani, calendari inneggianti a Mussolini, busti del “Puzzone”, varia oggettistica venduta nei negozi, e gente volgare che difende i profitti del turismo della nostalgia verso un ventennio infame.
Tutto ciò si è fuso con il facile spirito di autoassoluzione che permea le nostre coscienze riguardo a quei giorni vergognosi, e oggi la “canaglia fascista”, così ben definita da Umberto Bossi trent’anni fa, alza la testa, arrivando persino a operazioni coordinate nelle scuole, dove compaiono striscioni che equiparano l’antifascismo alla mafia.
Siamo un paese di buffoni, in cui mentre si chiede ai presentatori della sagra nazionale delle canzonette di rilasciare una dichiarazione giurata di antifascismo, si tollera che il fascismo si manifesti in ogni sua forma, e sia tollerato e giustificato ogni giorno.
In mezzo, una classe politica che non ha il coraggio di allontanare dalle proprie foto di famiglia parenti di cui ci si dovrebbe solo vergognare. A destra e a sinistra, questa viltà non riguarda solo i piccoli gruppetti delle ali estreme, ma il paternalismo comprensivo e tollerante con cui i grandi partiti guardano a questi fenomeni, e l’ipocrisia con cui su ciascun versante si guardano solo i reietti dell’altra parte: è possibile accettare che l’uno o il due per cento della destra e della sinistra siano composti da poveracci che vivono nel passato, magari in un passato di cui non sanno nulla; non si può accettare che chi si candida a guidare la Nazione verso il futuro non sappia fare delle scelte definitive e non equivocabili.
Questo schifo fa comodo a tutti, o almeno a molti, perché permette sia alla destra che alla sinistra di non rinunciare ai voti dei peggiori individui, e lo fa non solo rispetto al passato, ma anche al presente: se in fondo “non è il caso” di condannare davvero la nostra più infame vergogna nazionale, che ci è costata centinaia di migliaia di morti, le leggi razziali, i campi di sterminio, l’umiliazione dei trattati di pace successivi, se nemmeno questo ci indigna, perché dovremmo indignarci di fronte ai soldati russi che rapiscono i bambini, stuprano le donne, torturano gli uomini, o i nazipalestinesi che fanno altrettanto e, in più conservano i cadaveri per scambiarli con terroristi?
Tutto ha un senso: anche in politica “del maiale non si butta via niente”, peccato che quel maiale siamo noi.