Dicono che il milanese si riconosca dalla camminata. Sarà. Di sicuro, noi meneghini abbiamo una fretta interiore che ci divora, una sorta di ansia performativa che ci spinge a correre anche quando non ne abbiamo motivo. Se ci vedete passeggiare lentamente, state pur certi che siamo in piena crisi esistenziale.

Ma l’altro giorno, mentre mi stavo allenando per i 100 metri in via Torino, ho avuto un’illuminazione. Ero davanti al mitico 33 (che per i boomer come noi evoca ricordi di paninari e walkman) quando ho visto una sedia a rotelle sfrecciare a velocità Warp 9.

A bordo, un signore sulla quarantina, con l’aria di chi ha fretta anche se è seduto. Devo ammettere che mi ha quasi investito, ma con un elegante movimento di palpebre mi ha comunicato: “Scansati, o ti faccio fare un giro gratis”.

Di fronte a tanta urgenza, mi sono fatto da parte con un sorriso. Il signore mi ha ringraziato e io, commosso da tanta cortesia (merce rara di questi tempi), mi sono chiesto: “Ma dove stiamo correndo tutti quanti? Anche quelli in sedia a rotelle? Dove cazzo stiamo andando?“.

Forse la risposta è nel DNA del milanese: una fretta atavica, un bisogno di arrivare primi (non si sa dove, né perché). O forse siamo solo vittime di una società che ci vuole sempre più veloci, più efficienti, più competitivi.

Comunque, la prossima volta che vedete un milanese correre, non dategli addosso. Magari sta solo cercando di sfuggire alla sua stessa ansia. E se lo vedete in sedia a rotelle, beh, quello è un caso disperato.

Morale della favola: non importa quanto vai veloce, l’importante è sapere dove stai andando. E se non lo sai, almeno fai finta di averlo chiaro.