Bruno Vespa ha pubblicato l’ennesima strenna di Natale, dal titolo “La grande tempesta. Mussolini, la guerra civile. Putin, il ricatto energetico. La Nazione di Giorgia Meloni”.

In questo libro il signor Presidente del Consiglio dei ministri svela a Bruno Vespa la sua idea di Europa: “abbiamo avuto un’Europa invasiva nelle piccole cose e assente nelle grandi materie. Non converrebbe lasciare agli Stati nazionali il dibattito sul diametro delle vongole e occuparsi invece a livello comunitario dell’approvvigionamento energetico?”.

In questa battuta, sicuramente efficace, sta tutta la pochezza non della signora Meloni, ma di un’intera generazione di politici, non solo italiani.

Riflettiamo su questo: le nostre tasche e le nostre case sono affollati di dispositivi venduti in tutto il mondo, se costano “così poco” è anche perché le norme sono simili in tutto il mondo e i produttori progettano per vendere il più possibile lo stesso prodotto senza doverne fare “versioni nazionali”.

Che si tratti di disturbi radioelettrici, materiali utilizzabili o no, imballaggi ed altro ogni produttore s’ingegna per fare in modo che il proprio smartphone, televisore o frullatore possa essere fabbricato in Cina e spedito dalla fabbrica in tutto il mondo senza chiedersi «questo è il modello svedese o quello brasiliano?» lo stesso dispositivo, le stesse scatole, le stesse lingue sui manuali, al più il software che in funzione dell’area geografica adatta alcune funzioni e prestazioni.

Prima ancora che la globalizzazione imponesse una progettazione multistandard ai fabbricanti, la Comunità Economica Europea e l’Unione Europea hanno costruito e vinto una colossale scommessa: creare un mercato in cui i beni potessero viaggiare “dalla Sicilia alla Scandinavia” (come recitava un vecchio slogan da cortei pacifinti) e poter essere venduti e usati senza problemi e da qualunque consumatore europeo.

Nei decenni, innumerevoli barriere protezionistiche sono state demolite in questo modo: norme nazionali che creavano ostacoli alle importazioni costringendo i fabbricanti esteri a produrre versioni differenti di ciascun bene destinati allo stesso “mercato comune” (ve li ricordate i fari gialli delle auto francesi?), oppure regimi fiscali differenziati (ricordate quando il pessimo champagne francese pagava un’IVA del 38% perché bene di lusso?) o regole sanitarie disegnate apposta per rendere più costosa la distribuzione di alimentari di importazione.

Questa opera di demolizione ha creato ricchezza, permettendo a ogni impresa – anche la più piccola – di vendere nel mercato unico più grande del mondo senza chiedersi che regole ci saranno “lì”.

Un Presidente del Consiglio che s’è inventato il ministero della “sovranità alimentare” dovrebbe elevare lodi tutti i giorni all’impegno dell’Unione Europea per l’integrazione sempre più stretta dei mercati nazionali nell’unico mercato europeo, proprio perché ha impedito che le barriere nazionali bloccassero i nostri prodotti.

Quanto alle vongole, da anni c’è una guerra commerciale in corso tra Spagna e Italia sulle vongole; una guerra che usa una norma nata per proteggere il Mar Mediterraneo da un’estrazione sconsiderata e che ricorre proprio alle dimensioni delle vongole come criterio.  Da qui nasce la battuta sulle vongole.  Ma il punto è, e la Meloni dovrebbe saperlo, che la norma in questione cerca di proteggere il patrimonio ittico del Mar Mediterraneo, una risorsa strategica quanto i rifornimenti di gas, forse ancora di più.

Ed ecco quindi che comprendiamo che le battute sono facili e conquistano l’opinione pubblica, ma sono generalmente mendaci.  La sussidiarietà non c’entra una fava, se devi occuparti di una cosa come il Mar Mediterraneo i casi sono due: o crei una conferenza internazionale permanente destinata a “lavorare” per decenni (perché i governi cambiano e le priorità pure) oppure usi uno strumento rodato ed efficace, come le istituzioni europee…
Qui il vero problema (tanto per cambiare) non è stato che si è chiesto all’Europa di “occuparsi di vongole” ma che a suo tempo i politici italiani erano occupati a non occuparsi delle vongole, cose come prima non si erano occupati delle quote latte e così come in generale non si occupano di tutto ciò di cui poi danno colpa all’Europa.

Il fatto è che non c’è solo la Meloni, che ha mostrato una preoccupante inclinazione a recitare la parte del Salvini in gonnella: un’intera generazione di politici non solo italiani, come scrivevo all’inizio, è prona a questo vizietto e utilizza la più efficiente invenzione della politica dell’ultimo secolo per creare ricchezza (l’Europa) come scusa per i propri limiti politici e per quelli dei propri elettori.