Su CardioTalk, una delle piattaforme del nostro Gruppo dedicate ai professionisti della sanità, oggi pubblichiamo un’analisi su uno studio presentato pochi giorni fa a New Orleans durante il recente congresso ACC 23.
Lo studio “Lifelong Endurance Exercise And Its Relationship With Coronary Atherosclerosis” fa luce su una realtà che pochi conoscono: lo sport, come io sostengo sempre, “fa male”, o meglio non necessariamente lo sport fa tutto e sempre bene.
Qui la domanda era: come influisce un esercizio fisico “pesante” e duraturo negli anni sull’aterosclerosi coronarica, ossia sul restringimento delle coronarie a causa della nascita e crescita di placche che le ostruiscono?
Ebbene, la risposta è articolata.
Questo è uno studio condotto su 605 persone di mezza età (55 anni circa), 200 atleti “intensivi” per 29-44 anni, 204 atleti “intensivi” per 9-20 anni e 201 “sfigati di controllo” ossia persone normali scelte perché simili agli atleti ma che non praticavano sport con quella intensità o da così tanto tempo.
Lo studio conferma un dato già conosciuto: se chi sta sulla poltrona ha il rischio maggiore di aterosclerosi coronarica, man mano che si alza dalla poltrona e fa esercizio questo rischio migliora, e un esercizio costante nel tempo di medio-moderata intensità finalizzato a “restare in forma” è ciò che favorisce le migliori condizioni delle nostre coronarie.
Un impegno maggiore ci darà più gratificazioni sportive o di ego, ma non ci farà necessariamente più bene: a quel punto si scatenano meccanismi che favoriscono fenomeni di aterosclerosi coronarica. Certo, tutto è meglio che restare sulla poltrona ma, come suggeriva il noto coach di atletica Luigi Einaudi, “conoscere per deliberare”.
Ma, allora, vuol dire che chi fa più sport pesanti rischia più eventi cardiovascolari? chissà.
Eh già, perché il bello di questi studi è che ti rimandano alla prossima puntata, lo studio si conclude infatti così: «La partecipazione a sport di resistenza per tutta la vita oltre a uno stile di vita sano non è associata a una composizione della placca coronarica più favorevole… È necessaria una ricerca… per conciliare questi risultati con il rischio di eventi cardiovascolari all’estremità superiore dello spettro degli esercizi di resistenza.»
Questa conclusione ci spiega una cosa fondamentale: siamo persone, non solo macchine sofisticatissime. Ognuno di noi ha una storia, fattori di rischio specifici, comportamenti unici.
Ancora: mentre il “troppo esercizio fisico” qui potrebbe (forse, va ancora accertato) aumentare il rischio cardiovascolare, lo stesso esercizio potrebbe favorire qualcos’altro da qualche altra parte in grado di compensare quel rischio, anche solo per il fatto che quell’esercizio spesso è associato a minore stress, una maggiore attenzione alla qualità della propria vita, meno porcherie nella dieta eccetera…
Questo lavoro mi ha anche ricordato uno studio presentato in un lontano ESC sul tema drammatico della morte improvvisa negli atleti, giovani adulti quindi in cui tutto ci si aspetta tranne che questo: nelle autopsie talvolta si riscontravano tracce di eventi non notati in vita dell’atleta, segni di sofferenza che il cuore non mostrava durante gli esami di routine e che spiegavano un decesso che era “non annunciato” ma per nulla improvviso.
Il senso di queste lunghe righe, al di là del divertirsi a poter raccontare qualcosa di originale per impressionare quella tipa o quel tipo, è uno solo: non basta una laurea in medicina e chirurgia per diventare un bravo medico; servono anni di dedizione continua e uno studio che non finisce mai, perché le informazioni e gli strumenti che abbiamo oggi saranno sempre meno di quelle di domani, perché ogni pezzetto in più di conoscenza può essere quello che spiega una circostanza contraddittoria e così via.
Di sicuro non basta una laurea in giurisprudenza, economia, ingegneria, o presa su youtube.