Quando, in un caldo pomeriggio di agosto, non sai come fare per far passare il tempo mentre attendi di portare la gatta a consulto dal veterinario, finisce che, senza sapere come, capiti su un sito tra i tanti, in cui trovi una ricostruzione storica illuminante.
È Filippo Ceccarelli a ricostruire, in un articolo del lontano 1999, il vortice di progressivo sputtanamento della nostra classe politica, realizzato con la sua entusiasta partecipazione:

  • La tv spazzatura.
    Visto anche il successo della deriva sadica di Cipria, la produzione televisiva stabilì che si poteva andare oltre. E il masochismo politico assecondò tale pulsione. Andarono così in onda trasmissioni di autentico e pregiudiziale dileggio di cui Politistroika, pur con tutti i suoi limiti, si può considerare capostipite.
    Spiegava il conduttore, Patrizio Roversi: “Il nostro obiettivo è quello di sdrammatizzare il mondo della politica. Più che satira vogliamo fare informazione divertita e divertente. In fondo non c’è nulla di perverso o scandaloso nel pretendere che i politici si comportino come uomini di spettacolo…”. Ebbene, la chiave per interpretare il programma stava tutta in quella paroletta, in quel verbo: pretendere. La televisione cominciava ad avere la consapevolezza di aver preso prigioniera la politica. Non ne valutava gli effetti sul lungo periodo, ma sul breve poteva funzionare. E funzionò.
    Gli ospiti venivano chiusi in certe cabine e sottoposti a domande bizzarre, a test; oppure veniva loro richiesto di improvvisare comizi. Il modulo venne perfezionato – a destra – dai comici dell’ex Bagaglino: senza cabine, ma con gli onorevoli che dovevano, accanto ai comici, raccontare delle barzellette.
    Il ministro Fabbri, indimenticato, raccontò quella della “passera scopaiola”, che è un uccello, tra gli sghignazzi del pubblico e di Pippo Franco; il quale, una sera, ebbe anche il modo di sgridare l’onorevole Bassanini che aveva raccontato di quella volta che un suo rivale (l’onorevole Gangi) l’aveva schiaffeggiato in pieno Transatlantico dicendogli: “Faccia di merda!”. “E no, e no, onorevole – lo rimproverò allora Pippo Franco – qui in tv le parolacce non si dicono!”.
    Dopo le barzellette, le ricette. Dopo le ricette, le prove gastronomiche – e affettando una carota il ministro Romita si tagliò un dito. Dopo le prove di abilità manuale, i travestimenti. Un deputato dell’Union Valdotaine fu ripreso vestito da orso; l’onorevole Casini uscì fuori da un uovo di Pasqua…
    Questi comportamenti divennero norma; o meglio, divennero un genere.
    A un certo punto parve normale di vedere Giorgio Benvenuto, con le scarpe, sdraiato sul lettone di Amanda Lear.
    I politici seguitarono ad affettare patate e a recitare poesie, si vestirono da pazzi e fecero di tutto anche nella vita normale, o in quella zona dell’esistenza ormai contaminata e invasa da una schiuma metà spettacolare e metà autopubblicitaria.

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