Pensando alle sciagurate campagne elettorali per le elezioni comunali 2021 di Roma e Milano non mi vengono in mente che il primo e il secondo comma dell’articolo 82 del Codice penale:

Quando, per errore nell’uso dei mezzi di esecuzione del reato, o per un’altra causa, è cagionata offesa a persona diversa da quella alla quale l’offesa era diretta, il colpevole risponde come se avesse commesso il reato in danno della persona che voleva offendere…

Qualora, oltre alla persona diversa, sia offesa anche quella alla quale l’offesa era diretta, il colpevole soggiace alla pena stabilita per il reato più grave, aumentata fino alla metà.

Sì, perché osservando le brillanti scelte della signora Meloni a Roma e di Matteo Salvini a Milano la sola immagine che mi viene in mente è quella di due che, alla prova per diventare capibanda, riescono entrambi ad ammazzare i propri compagni di gang anziché gli avversari.

Queste elezioni erano la chiara possibilità di dare la spallata finale al PD alla nuova “costola della sinistra” rappresentata dai 5stelle.  Due sono le città importanti “per davvero”: Milano e Roma.  Entrambe erano contendibili.

Per motivi di spartizione, il candidato milanese sarebbe stato di area leghista e quello romano fratellista.

Evidentemente conquistare Milano e Roma non era una priorità, c’erano altre urgenze, sicché s’è pensato ai candidati il giorno prima del termine delle candidature (a casa mia, quando la campagna elettorale fai finta di iniziarla a luglio per delle elezioni a ottobre sei già in ritardo).

O forse, c’era un altro obiettivo: un delitto, possibilmente una strage.

Entrambi avevano voglia di fare piazza pulita intorno a sé.

I partiti di questa epoca hanno una curiosa comunanza: la sostanziale incontendibilità.  O perché costruiti intorno a una persona, o perché man mano gli statuti hanno accentrato i poteri, oramai il partito è nelle mani del suo leader e l’opzione è praticamente solo quella tra il fare la minoranza tranquilla cui è riconosciuto giusto un “diritto di tribuna” negli organi interni e nelle liste e la fuoriuscita.

Nonostante questa caratteristica, ogni tanto qualcosa si risveglia, qualcuno alza la testa, e così i leader giunti al potere a colpi di “25 luglio” e/o sfruttando gli inciampi di chi c’era prima sono esposti alla tentazione della piazza pulita preventiva.

La Lombardia, presieduta dalla controfigura del mocio Vileda, è stata il primo esperimento: bye bye Maroni e almeno per cinque anni qualcuno che non correrà mai il rischio di voler mettere in discussione il leader.  Milano sarebbe stato il delitto perfetto: non solo evitare il rischio di un sindaco “politico” e “nazionale”, ma schiantare la coalizione all’opposizione per altri cinque anni, sfoltendo gli eletti tra gli alleati e affermandosi come l’unico soggetto politico “di peso” del centrodestra.  Roma non poteva che andare di conserva: una leader nazionale con qualche problema di credibilità (insomma, dai…) e nessun bisogno di un vicino di casa ingombrante.

Le scelte fatte, due opachi e inconsistenti candidati, produrranno i loro risultati, regalando al centrodestra cinque anni di opposizione al Campidoglio e a Palazzo Marino.  Ahi loro, è molto probabile che il delitto vada oltre i risultati attesi, che dopo tanto rumoreggiare di vittoria questi due risultati penosi si rovescino su chi li ha immaginati e perseguiti.

Cercando di far fuori potenziali concorrenti interni e avversari di coalizione, Giorgia e Matteo colpiranno anche la coalizione e i loro stessi partiti, un classico caso di “aberratio ictus plurioffensiva”.

 

Ma forse la sto facendo troppo difficile, ed è invece un caso di “scemo e più scemo”.